Con la vittoria in Canada, Max Verstappen eguaglia sua maestà Ayrton Senna a quota 41 vittorie in carriera. L’asso brasiliano è probabilmente il pilota a cui il numero 1 olandese è stato accostato più spesso: la velocità sul bagnato, l’assenza di timori reverenziali verso gli avversari più esperti, l’attitudine a rischiare sempre il sorpasso.
Probabilmente, l’unica qualità che Ayrton ha e che manca un po’ a Max è il passo in qualifica. Verstappen è sempre stato un animale da gara, anche perché fino al 2020 ha avuto a disposizione vetture che non gli permettevano di lottare per il titolo, con cui è più difficile eccellere nel giro secco.
Come ammesso da Verstappen stesso, il bambino che andava a vedere suo padre ai Gran Premi non avrebbe mai pensato di raggiungere quello che per tantissimi è l’idolo di sempre. Tra i tantissimi, due nomi leggeri: Michael Schumacher e Lewis Hamilton.
Il talento dell’olandese, d’altronde, si è visto dal giorno zero, da quando nel 2014 esordì 17enne con la Toro Rosso nelle prove libere in Giappone. Poi, la chiamata full-time nel 2015, con due ottimi quarti posti in Ungheria e ad Austin.
La vittoria al debutto con la Red Bull in Spagna nel 2016, poi, doveva far presagire cosa avrebbe potuto fare quel ragazzino appena maggiorenne con un’auto alla sua portata. Non a caso, infatti, Niki Lauda ammise dopo la gara di aver visto “il talento del secolo“.
Il suo avvio di carriera, in effetti, assomiglia a quello di Senna. Anche il brasiliano arrivò in Formula 1 direttamente dalla Formula 3 (britannica, in quel caso). Nella massima serie poi, ottenne la sua prima vittoria alla seconda gara della seconda stagione, la prima con una squadra competitiva (Lotus).
Ormai, tutte le scuse per sminuire i traguardi di Verstappen hanno poco senso. C’erano meno gare ai tempi di Senna? La griglia era più competitiva? Le auto di allora erano più difficili da guidare? Poco importa. Ciò che è certo è che Verstappen è entrato a tutti gli effetti tra leggende della Formula 1.