L’annata di Formula 1 della Ferrari non si è conclusa nel migliore nei modi, specialmente visti i proclami iniziali. Dopo un inverno dedicato a risolvere i problemi dell’azzoppata SF-22, a Maranello si nutriva ottimismo una volta giunti in Bahrain, ma l’asfalto non è stato un giudice clemente con la monoposto del cavallino. In un’annata che portava con sé gli strascichi della malagestione di Binotto, è stato Vasseur l’uomo incaricato di risollevare la Scuderia. Il francese ha agito dove ha potuto, ritrovando equilibri andati persi nelle precedenti stagioni. Dopo un anno di gestione, quanto e dove è cambiata la Ferrari di Frederic Vassuer?
Piloti e capricci
Se c’è un primo aspetto in cui elogiare Vasseur, è la gestione dei piloti. La coppia Sainz-Leclerc non è certo la più affiatata, ma in un’annata del genere il TP è riuscito a fare la cosa giusta: far lavorare assieme i due in un momento in cui serviva far quadrato per risalire la china. Le scaramucce ci sono state, ma salvo qualche occasione, non sono mancati i sacrifici per massimizzare il risultato di squadra. Ciò che è certo è che il sangue sempre più nero che scorreva tra i due l’annata precedente, pare essersi schiarito.
Per quanto riguarda Leclerc in particolare, sembrava impossibile fargli scollare il cavallino dal cuore, eppure c’era qualcuno che ci stava riuscendo. Al nuovo team principal va dato merito di aver coltivato il rapporto col 16, riportandolo vicino alla causa di Maranello. Non è un caso che Leclerc pronunci spesso parole a favore di Vasseur, tirando frecciate tutt’altro che velate alla precedente gestione. Insomma, se sta convincendo – come dichiarano innumerevoli fonti – a far rinnovare entrambi i piloti, un minimo ci saprà fare no?
Una direzione meno testarda
Vasseur si è contraddistinto dalla precedente dirigenza anche per come ha gestito l’assetto interno. Il francese, ed è lampante, pur essendo l’ultimo arrivato ha colto in modo chiaro quali fossero i problemi della rossa. Ancor più importante, è stata la capacità di intervenire con sicurezza e tempestività in questi aspetti. Il caso più simbolico è stato il riposizionamento di Inaki Rueda, autore di alcune delle più scellerate strategie mai partorite dal cavallino. Vasseur è intervenuto chirurgicamente per spostarlo in un ruolo di minor responsabilità, e qualche disastro in meno è stato il risultato. Non sono mancati gli addii più o meno volontari, come nel caso di Mekies e Sanchez.
Non vanno poi dimenticati i nuovi innesti da Red Bull; un segno di apertura mentale e minor testardaggine rispetto alle annate precedenti che senz’altro frutterà nel lungo termine. Ammettere di essere incompleti e pescare da chi fa meglio è ciò in cui Binotto peccava, e che Vasseur sta facendo.
Il punto chiave della gestione Vasseuriana è uno: il venir meno della centralità assoluta del team principal. Il cavallino degli anni passati era assai Binotto-centrico. Il pro era la minor pressione sulle spalle degli addetti ai lavori, ma di contro non era sempre chiaro chi facesse cosa. A detta di Leclerc, ora il team principal “Riesce ad incentivare tutti, e ognuno rende meglio rispetto a prima“. L’aver eletto Enrico Cardile direttore tecnico dà un riferimento non da poco, e il conseguente venir meno dell’orizzontalità nociva tra i tecnici può aiutare per assestare l’organico e ripartire col piede giusto. Insomma, se anche nei migliori team funziona così, un motivo ci sarà.
Strategia e monoposto: tra imperfezioni ed eredità
Inutile nasconderlo, il reparto strategico della rossa non è ancora sufficientemente rodato. Dall’accantonamento di Rueda il numero di debacle è diminuito, ma le imperfezioni e gli errori che costano caro non sono ancora abbastanza bassi per lottare con chi non sbaglia mai. Se la situazione è questa quando si lotta per il basso podio, è difficile pensare che si possa reggere il confronto coi rivali nell’eventualità di una monoposto competitiva. C’è ancora del lavoro da fare.
Per quanto concerne la macchina, di Vasseur si può dire poco. La SF-23 lasciata in eredità da Mattia Binotto è un’evoluzione a dir poco fallimentare della precedente. Vasseur & Co. hanno provato a sistemare le cose portando una SF-23 B in Spagna, avvicinandosi alla filosofia Red Bull. Se da un lato il progresso non è stato quello sperato, dall’altro è doveroso evidenziare che quantomeno la stagione è andata in crescendo, contrariamente all’anno passato. Il percorso di sviluppo è certamente stato più audace rispetto a prima, e l’umiltà di ammettere di aver sbagliato strada è ciò che traccia una linea tra passato e presente della Scuderia.
Concludendo il capitolo macchina, è lodevole la maggior continuità raggiunta dal team, ora meno vincolato alla gestione di una power unit non più così tanto inaffidabile. Purtroppo c’è ancora qualcosa da cambiare, tra cui il passo gara, troppo spesso lontano dagli exploit della qualifica. Il vero giudizio sull’operato di Vasseur in termini di gestione dei tecnici lo avremo la stagione prossima, quando la SF-24 (sarà questo il nome?) sarà al 95% nuova, e al 100% sua.
Il solito problema
Elencati i pregi e difetti della nuova leadership, non rimane che guardare ancora più in alto. Il divario tra il team principal e la dirigenza è ancora siderale. Vigna ed Elkann continuano a trascurare la rossa, e il leader francese non può che risentirne. Difficile imputare a Vasseur la mancata capacità di farsi sentire, in quanto l’avvicinamento non dovrebbe innescarsi da chi sta sotto. Vista la situazione, tuttavia, non sarebbe assurdo sperare in una sveglia da chi sembra tenerci di più.
Frederic sembra, quantomeno da fuori, convinto del fatto di essersi trovato in Ferrari per caso. Al francese non si può chiedere la luna, ma vista l’apparente stabilità della sua posizione, un po’ di carattere e sicurezza in più non farebbe male – alla Wolff o alla Horner, per intenderci – . Nonostante la Ferrari di Vassuer sia cambiata in positivo, la stagione della rossa non può considerarsi pienamente sufficiente. La pagella completa dell’operato del team principal dovrà attendere ancora, quando gli strascichi di chi c’era prima saranno diminuiti al punto da poter imputare tutto – o quasi – al francese.