Quanto successo a Ferrari nel caso Sainz in questi giorni ha un ‘che’ di tragicomico. L’insuccesso del ricorso della Ferrari è solo una delle ormai routinarie dimostrazioni che il nitrito del cavallino non fa più paura, perlomeno come un tempo. Ripercorriamo quanto accaduto di recente e in passato e scopriamo come, se si vuole stare in alto, quanto fatto non basta.
Giallo Sainz: ennesima prova di lentezza e inefficacia
Ripartenza, contatto, penalità. Sainz ha concluso, dopo una funesta ripartenza da vecchio west, il gran premio di Australia in dodicesima posizione. Ad arretrare così tanto il madrileno ci ha pensato la penalità inflittagli dai commissari dopo il contatto con il connazionale Fernando Alonso. La risposta del cavallino alla Federazione, tuttavia, è arrivata a jet-lag già smaltito dopo il rientro. Il 6 aprile, ovvero quattro giorni dopo la gara, Ferrari ha presentato una serie di “prove” e testimonianze per tentare un’insperata revoca della sentenza.
A preoccupare non è solo la lentezza, ma anche la debolezza di quanto portato al cospetto del legislatore. Prove come “sole negli occhi” e testimonianze degli altri piloti nelle interviste post gara non sono bastate, anzi, sono servite a far passare Sainz come più colpevole di quanto non lo fosse già. Oltre alla goffaggine, in termini cronometrici non si eccelle nemmeno politicamente. Per citare chi ci sa fare, basta pensare alla rapidità di Aston Martin nel portare tante prove, per giunta concrete, per scagionare Alonso e fargli riguadagnare il podio in Arabia Saudita. Insomma, un avvocato del genere è ciò che ogni querelato si augura di evitare.
Ferrari insufficiente quando conta davvero
Sono passati quasi quattro anni, ma nella memoria dei ferraristi il gran premio del Canada 2019 rimbomba come fosse ieri. La situazione è simile, ma qui l’arma Ferrari era molto più appuntita, vista l’oggettiva innocenza di Vettel. L’esito è il medesimo: ricorso rigettato per evidenze non significative. Pare quasi che, quando conta davvero, ergo quando c’è un primo posto in gioco, Ferrari non abbia la fame di lottare per ottenerlo se esistono le possibilità.
Per fare qualche esempio: perché lottare così arduamente per un quarto posto in un anno già scritto e non alzare nemmeno la voce in casi come Silverstone 2021 o Singapore 2022. Nel primo caso c’era per giunta la possibilità di far quadrato con Red Bull, nel secondo l’applicazione della penalità a Sergio Perez aveva fatto storcere il naso a parecchi, segno che qualcosa si sarebbe potuto fare.
Che fine ha fatto la voce della Ferrari che conoscevamo?
Il leitmotiv è dunque questo: la rossa incassa sempre, e quando risponde, lo fa portando a casa un pugno di mosche, e talvolta facendo figuracce con la FIA, che non attraversa certo un periodo d’oro. Il potere politico della Scuderia è ormai un ricordo. Dai due anni di purgatorio post 2019, passando per la direttiva tecnica del 2022 e per il cambio regolamentare che ha affossato il concetto della monoposto di Maranello, arrivando infine alla flebile decisione della FIA sulla violazione del budget cap da parte di Red Bull, di successi sul piano diplomatico non se ne contano. A pensarla in modo ottimistico, questa protesta vuol essere una prima alzata di voce dell’era Vasseur. Un nuovo inizio dove non si esita a mostrare i muscoli anche quando in gioco c’è un quarto posto. Ma prima di vedere una riconquista del peso che si aveva un tempo, se avverrà, ci vorrà tempo.