Il recente duello tra Max Verstappen e Lewis Hamilton, la serie Netflix “Drive to Survive”, e lo schema di coinvolgimento dei giovani messo in atto da Liberty Media, hanno consentito ad una F1 piuttosto noiosa per la massa di diventare uno degli sport più in ascesa degli ultimi anni. La spinta innovativa data dai proprietari del circus sembra inarrestabile, ma se per certi versi è un toccasana per la visibilità della competizione, per altri rischia di mutare il DNA dello sport che tutti conosciamo.
L’attesa aumenta(va) il desiderio
È da poco uscito il calendario della stagione 2023, e le gare che si contano sono ben 24. Quanto alle sprint del sabato, la cifra passa da tre a sei. Se una sprint copre un terzo della distanza di un normale gran premio, con sei di queste è come se il calendario salisse a 26 gare, una cifra spaventosa se si considera il numero di mesi che si hanno a disposizione per disputarle. Il patto della concordia sottoscritto dalle squadre sanciva un numero massimo di 24 gare, certamente rispettato sulla carta, ma prontamente aggirato con l’escamotage della garetta del sabato.
La direzione che il circus sta prendendo preoccupa per due motivi: il primo, per cui pare che secondo Liberty una maggiore quantità corrisponda ad un maggior piacere del pubblico nel guardare un evento (sembra non valere il concetto di qualità che batte quantità); e il secondo, ben più importante, che riguarda la salute fisica ma soprattutto mentale degli addetti ai lavori.
Dietro le quinte di una F1 sotto stress
A fare le spese di un calendario così fitto sono in primis gli addetti ai lavori. Meccanici, ingegneri, giornalisti, cameramen, montatori, staff e uomini FIA sono coloro che vengono sballottati tra un aereo e l’altro per raggiungere i circuiti, lavorare, sistemare talvolta a gara non conclusa, e ripartire. Tra uno scalo e l’altro, passando di fuso orario in fuso orario, lavorando con la pressione di dover fare bene e nelle condizioni climatiche più disparate di weekend in weekend ci sono sempre loro. L’anno prossimo, gli addetti ai lavori, sono chiamati ad affrontare ben tre triplette e cinque doppiette, decisamente troppe.
È facile sorprendersi per un pitstop sbagliato o per una preparazione errata della vettura, ma quando la salute di chi è meno considerato dai vertici è messa a dura prova viene da domandarsi se non ci fosse da aspettarselo. La FIA, nonostante le numerose critiche che ultimamente riceve, ha imposto un sacrosanto coprifuoco per i meccanici, garantendogli ore in più di riposo che in passato non avevano. Dall’altra parte Liberty Media continua la sua crociata mirata ad un’opulenza sempre maggiore, segno della spaccatura sempre più evidente tra l’unità business dello sport ed il suo legislatore.
Una F1 con il peccato del greenwashing
Le tasche degli investitori sono sempre più piene in questa spirale ascendente, e in tutto ciò l’ambiente osserva malinconico. La direzione dichiarata con tanto di slogan e manifesti è quella della riduzione massiccia delle emissioni di anidride carbonica, ma i gesti sembrano puntare in direzione opposta. È facile vantarsi di un abbassamento della temperatura massima delle termocoperte per ridurre l’uso di energia elettrica; la contraddizione arriva però proprio quando in un calendario così massiccio si introducono spostamenti totalmente insensati.
Qualche esempio: in una settimana le squadre dovranno sposarsi dall’Azerbaijan a Miami, sono undicimila chilometri. Durante la fase europea c’è una ‘trasferta’ dalla Spagna al Canada, per poi tornare nuovamente in Europa… Un via vai a dir poco inutile. Impossibile non citare il fatto che i gran premi mediorientali (Bahrain, Abu Dhabi e Qatar), e il tris di gare statunitensi (Miami, Austin e Las Vegas) si terranno in date intervallate da altri gran premi. L’alternativa più eco-friendly sarebbe ovviamente quella di affrontare i tris consequenzialmente, evitando così un giro dell’oca.
Sarebbe da stolti immaginare un calendario che segua passo dopo passo un iter perfetto per minimizzare i chilometri percorsi da aerei e camion. Gli interessi in ballo sono troppi, senza dimenticare la necessità di gareggiare in determinate zone solo in uno specifico periodo per minimizzare il rischio di maltempo, uragani e tifoni; tuttavia, l’impegno di Liberty per ridurre le emissioni in questo caso è palesemente insufficiente.
Uno strano modo di creare spettacolo
Non è trascurabile il discorso del limite massimo delle componenti utilizzabili in una stagione. con una distanza da percorrere di 26 gran premi (sprint incluse), sommando poi i chilometri di qualifiche e prove libere, la prospettiva di avere solo tre power unit per l’intera stagione non entusiasma. Si assisterà soltanto ad un aggravarsi delle partenze dal fondo della griglia. Insomma, il concetto di reverse grid non è previsto dal regolamento, ma c’è eccome. la direzione è chiara e la speranza è che sia solo una fase grigia dello sport che andrà assestandosi col tempo; la sensazione, però, è che alla rivoluzione si stia preferendo un approccio al cambiamento di ‘riforma’ in ‘riforma’, e notare bene, il risultato finale è il medesimo.