Per la rubrica di Storia della Formula 1, oggi vogliamo proporvi la storia del primo e unico doppio campione del mondo di F1 italiano, Alberto Ascari.
Le origini del pilota Alberto Ascari
Corse con tanti grandi piloti, Alberto Ascari (13 luglio 1918-26 maggio 1955). Era di Milano, di corso Sempione. Scelse di intraprendere la stessa carriera del padre Antonio a soli sette anni, nel 1925, proprio quando questi morì a Montlhéry. Per raggiungere il suo obiettivo, aggirando l’opposizione materna, Ascari si pagò le sue prime corse a Monza vendendo ripetutamente il suo dizionario di greco. La madre glielo ricomprò svariate volte, pensando che i compagni di scuola glielo sottraessero continuamente, finché non scoprì la verità. A quel punto, si rassegnò all’irrinunciabile passione del figlio.
Ascari debuttò nel 1940. Dodici anni dopo era un pilota della Ferrari e, nel 1952, vinse il primo titolo iridato della sua storia, il terzo campionato mondiale di Formula 1. L’anno successivo, dopo una lotta con Juan Manuel Fangio su Maserati e con il compagno di squadra Nino Farina, campione del 1950, ripeté l’impresa.
L’antefatto della tragica fine
Per parlare del fatidico 26 maggio 1955, giorno della morte di Alberto Ascari, occorre andare prima indietro di quattro giorni. Alberto aveva 36 anni, era già cinque volte campione d’Italia, due di Formula 1 e aveva già corso al volante di Alfa Romeo, Maserati, Ferrari e Lancia. Fra i suoi innumerevoli trofei si annoverano: la Coppa “Trofeo Nuvolari” della Mille Miglia del 1954. La Coppa del Nürburgring il 29 luglio 1951 su Ferrari 375 F1 e la Coppa di Silverstone del 20 agosto 1949 su Ferrari 125 F1. Non da ultimo, era anche sposato – con Mietta – e padre.
Quattro giorni prima era stato salvato per miracolo dai sommozzatori che lo recuperarono nel mare di Monaco. Forse per riprendersi dal trauma, il 26 maggio 1955 andò a Monza a correre di nuovo. Ma su un’auto non sua: ora era un pilota della Lancia, non più della Ferrari. Lui era a casa con Mietta, quando i suoi amici Luigi Villoresi ed Eugenio Castellotti lo chiamarono perché stavano testando a Monza una nuova Ferrari 750.
La maledizione del 26 per Alberto Ascari
La domenica, inoltre, si disputava il Gran Premio Cortemaggiore per prototipi. Alberto giunse quindi all’autodromo. Si fece prestare la Ferrari da Castellotti per fare qualche giro e anche la tuta: lui era arrivato al circuito in giacca e cravatta. Quindi senza i suoi indumenti, il suo casco, i suoi guanti: per una volta, aveva abbandonato ogni sua scaramanzia. Tra queste, vi era anche quella di non prendere mai in mano un volante il giorno 26 di qualsiasi mese. Non solo suo padre era morto un giorno 26, ma anche l’amico Silvio Vailati era morto quel giorno, nel maggio del 1940, in una corsa a Genova.
Dopo tre giri, si udì un boato. Nessuno lo vide, nessuno sa cosa sia accaduto. Si sa che era uscito dall’attuale curva Ascari, che prese il suo nome da allora, e che morì sul colpo, sotto il peso della vettura. Dopo un volo di quindici metri e di un fatale trauma toracico. Sgomenti, gli amici notarono sull’asfalto il segno di una frenata che non si spiegarono. Forse un malore, forse una manovra errata, forse un operaio che stava passando proprio lì… In ogni caso, Alberto Ascari era morto. Il 26 maggio 1955. E, come accennavamo prima, il 26 luglio di trent’anni prima lo stesso destino era toccato al padre a Montlhéry, in Francia, il 26 luglio 1925, a 36 anni.
Fonte: La Repubblica.