Che la Formula 1 non sia più quella di una volta è chiaro. I cambiamenti si vedono ovunque: regolamenti sempre più ferrei della FIA, implementazioni di sicurezza, gestione millimetrica di piloti, scuderie e piste. Il processo è iniziato anni fa, con l’introduzione di nuovi circuiti in posti che mai avrebbero immaginato di ospitare il Circus, ed è continuato con il format sprint che ha spaccato opinioni e aperto discussioni infinite. Lo stesso Stefano Domenicali, presidente e CEO della Formula 1, lo ha detto senza mezzi termini: «Lo dico in maniera un po’ provocatoria, ovviamente, ma oggi le prove libere piacciono solo ai super specialisti».
Il grande pubblico è oggi più interessato all’azione di un weekend sprint, per esempio. Già il venerdì ci sono più argomenti di cui discutere e commentare. Con una qualifica si parla di performance, della gara solo di cosa è successo e di chi ha vinto. La direzione è chiara ai piani alti e la garanzia che questa richiesta di cambiamento possa davvero attuarsi da ogni punto di vista è molto tangibile.
Il pubblico e l’ossessione per lo spettacolo
In altre parole: meno romanticismo da “prova libera”, più contenuto digeribile e monetizzabile. Domenicali stesso riconosce che l’introduzione della sprint non è stata accolta a braccia aperte dai piloti – diciotto contrari e solo due favorevoli all’inizio – ma oggi lo scenario è cambiato. «Ne abbiamo parlato durante la cena in Austria e tutti si sono espressi favorevolmente. Anche Max, con cui ho parlato da solo, ha ammesso che c’è un senso». La riflessione è semplice: i piloti accettano perché alla fine l’importante è correre e raccogliere punti, mentre il pubblico vuole azione.
Le prove libere non attraggono più, a meno che non ci sia un’uscita spettacolare o un incidente che faccia rumore. Lo spettatore moderno non si accontenta del dettaglio tecnico: vuole emozione, stupore, qualcosa da commentare sui social. Anche lamentarsi ha senso, purché ci sia un pretesto per farlo. È un cambio di paradigma nato con Liberty Media e alimentato da Netflix con Drive to Survive, dall’uso massiccio dei social e da un marketing che sfrutta tutto: dalle relazioni sentimentali dei piloti ai loro cani postati su Instagram. L’obiettivo non è più chiedersi “perché” ma “quando” succederà qualcosa.

La griglia invertita: rivoluzione o follia?
Tra le novità che fanno parlare, quella che potrebbe stravolgere davvero il format è la griglia di partenza invertita. Il presidente della Formula 1 non lo nasconde: «È un argomento che abbiamo in agenda. In passato ce lo siamo detti, ma nei prossimi mesi dovremo avere il coraggio di dare un’altra spinta alla discussione». In Formula 2 e Formula 3 è realtà da anni e adesso l’idea si affaccia anche al Circus maggiore. Molti piloti hanno iniziato a dire “perché no?”, e Domenicali stesso ha confermato che se ne discute anche per la Formula 1.
Non è detto che sia la soluzione giusta, ma ignorare il trend sarebbe impossibile. Difatti l’idea è chiara: rimescolare le carte, dare alle squadre minori la possibilità di non restare eternamente in fondo al gruppo, rendere ogni gara più incerta e quindi più appetibile per chi guarda da casa. Una scelta che sembra pensata più per i broadcaster che per gli ingegneri.
Il nodo tecnico e il futuro del 2026
Tutto questo discorso si inserisce in un contesto tecnico complicato. Dal 2026 le monoposto cambieranno radicalmente: più piccole, più leggere, con un’ibridizzazione spinta e un occhio alla sostenibilità. Una scelta che nasce dalla difficoltà di gestire macchine sempre più pesanti e poco adatte a condizioni variabili, come la pioggia. Tuttavia ci si aspetta che un 50% della potenza proveniente dal motore elettrico e l’abolizione del famigerato MGU-H, uno dei componenti più costosi e complessi possa donare una sfida non solo sportiva, ma tecnologica. Tutto questo purché la Categoria regina resti la punta più avanzata del motorsport senza trasformarsi in un esercizio sterile di ingegneria.
Per non avere dubbi, basta pensare al passaggio dai V10 urlanti ai V8, accolto con rabbia dai puristi, o all’introduzione dei V6 ibridi nel 2014, che cambiarono per sempre il modo di concepire la potenza. Ogni volta c’è chi grida alla fine dello spettacolo, ma alla lunga la categoria si adatta. E lo stesso discorso vale per l’halo, odiato al debutto, oggi considerato intoccabile. Però siamo sempre lì: auto meno ingombranti, più agili e con costi di gestione ridotti, ma andiamo incontro a spettacolo o spettacolarizzazione? Perché se una F1 diventa troppo “facile” da guidare, se sembra già un’auto semi-automatica con sensazioni filtrate, allora perde quel lato selvaggio che da sempre conquista il pubblico, no?

Durata dei GP e highlights: dove si ferma il compromesso?
La verità è che Domenicali ha capito quanto la Formula 1 si trovi da sempre sul filo tra tradizione e spettacolo. I tifosi più anziani non hanno mai smesso di dire che il rumore dei motori era l’essenza del Circus, mentre i nuovi appassionati, cresciuti a pane e social network, chiedono più intrattenimento, più format brevi, di più. Domenicali lo sa, e lo ha ammesso più volte: il futuro di questo sport passa dalla capacità di tenere insieme queste due anime.
Un esempio? La durata dei Gran Premi. Sempre più spesso si discute se 60/70 giri siano troppi per un pubblico che fatica a stare davanti allo schermo per due ore. C’è chi propone highlights televisivi al posto della diretta integrale, una vera eresia per i conservatori, ma anche quelli che si sono affezionati allo schema tradizionale moderno. Davvero vogliamo ridurre la F1 a un best of? Una domanda che resta sospesa, perché da un lato il pubblico social vive di clip da 30 secondi, dall’altro le corse sono fatte anche di attesa, di strategie, di tensioni che maturano nel tempo.
Evoluzione o tradimento?
Sarebbe giusto tagliare, ridurre, condensare uno sport che vive anche della sua noia, dell’attesa, delle strategie che maturano giro dopo giro? Tradire questa originalità? Possiamo paragonarlo al calcio, in cui si resta due ore e mezza in campo senza bisogno di scorciatoie, no? O alle Olimpiadi, che si seguono per giorni interi senza problemi. Le sprint race hanno dato un’accelerata, ma la ricerca spasmodica di dinamismo finirà per togliere profondità, figuriamoci una sintesi. Gli highlights possono regalare adrenalina, ma non costruiscono la stessa tensione di una gara completa.
Film, collaborazioni con Disney, serie tv, ma poi torneremo a qualche radice? Alla fine la questione è tutta qui: la Formula 1 che Domenicali immagina è un prodotto globale, sostenibile, accattivante e cucito sul pubblico social. Ma in questo processo il rischio è tradire chi si è innamorato dei 300 km di rumore, benzina e strategia. È davvero questo il futuro? Forse sì, forse no. Forse il Circus ha già scelto la sua strada: sacrificio. E forse, paradossalmente, è proprio questo il segreto della sua sopravvivenza.