Ricostruire. Un sogno, una squadra, una schiena. Tra meno di una settimana si corre dall’altra parte del mondo, in Canada. Non c’è tempo per fermarsi a raccogliere i pezzi di quello che si è rotto, ma bisogna farlo, e bisogna rialzarsi proprio come hanno fatto Charles e Lewis a Baku, sebbene in modi diversi.
Uno è nel pieno della sua realizzazione, e vede l’opportunità di affermarsi come ha già fatto lo scorso anno un suo coetaneo nonché ex rivale sui Kart, Max Verstappen. L’altro invece ha 37 anni, 7 mondiali e tanto ancora da dare. Non avrebbe nulla da dimostrare, ma è ambasciatore di un messaggio importante, ovvero rialzarsi dopo ogni caduta, riposarsi dopo ogni botta, per poi ripartire.
A Baku c’è chi si è dovuto fermare subito, chi invece ha portato fino alla bandiera a scacchi i segni di una gara difficile. Tutti i ritiri sono avvenuti per problemi tecnici, cosa più difficile da evitare rispetto a un errore umano, e forse proprio questo ci ha spiazzato.
Nemici invisibili
Siamo abituati a vedere errori umani, evidenti, sia nella guida, che nelle strategie sul tracciato azero. Ma c’è chi invece, a Baku, ha lottato con un nemico invisibile, difficile da neutralizzare.
I meccanici della Rossa iniziano a piegare le sedie, a impacchettare tutto quello che c’è, per avvantaggiarsi sul lavoro dato che la prossima settimana già si viaggia dall’altra parte del mondo. È finita. E ancora una volta, prima del previsto. Prima ancora di poter dire “ci ho provato, ma oggi non ne avevamo quanto i nostri avversari”. Non è la prima volta che il re del sabato, Charles Leclerc, si trova con un pugno di mosche la domenica.
Non è la prima volta che lo ritroviamo seduto, appoggiato con la schiena ad un muretto per cercare di rimettere a posto i pezzi dopo una brutta caduta. Tutto un mondo che si svuota e scompare, per un’anima in pena. Il sogno di Charles oggi sembra svanire in un’illusione creata da un cuore ferito, spezzato in due, ma ricostruito, all’infinito. Un amore che sta diventando un gioco pericoloso e in cui ogni occasione rischia di essere l’ultima, quella in cui prima o poi si finisce per non sentire più nulla. Ma anche la ferita più grande può essere rimarginata, se curata in tempo.
Continuare o fermarsi?
C’è invece un’altro nemico invisibile che porta ad un altro tipo di dolore, quello fisico, che richiede un tempo di guarigione più lungo e una scelta: continuare a farsi male o fermarsi?
Il Canada è una tappa importante per Lewis, una motivazione in più per rialzarsi e tornare in pista. Lewis Hamilton alla fine della gara esce a stento dalla sua W13, una compagna più ostile delle altre che lo hanno accompagnato nel corso della sua carriera. Una serie di sobbalzi continui, per 51 giri lo hanno stravolto.
Avrebbe potuto concludere la gara prima del tempo, per preservare la salute. 37 anni si fanno sentire e la Mercedes è a tutti gli effetti una macchina terribile da guidare, e non di certo in lotta per il mondiale. Qualcuno lo avrebbe addirittura compreso. Nei tratti più veloci sul tracciato di Baku non riusciva nemmeno a comunicare con il team per quanto saltasse.
Non lo abbiamo mai visto così fragile, vulnerabile. O meglio, non lo abbiamo mai visto uscire così dalla sua monoposto. Forse nemmeno lui si aspettava tutto quel dolore che lo ha travolto a fine gara visto l’approccio che ha avuto per tutti e 51 i giri. Siamo abituati a vederlo saltare come un grillo, ballare da solo sulla sua monoposto. Lo guardiamo, guardiamo la sua gara e in un attimo ci sembra di trovarci davanti a un giovane vecchio con lo sguardo stanco e una schiena rotta. Quella schiena che ha sopportato per anni il peso del mondo e di battaglie che gli sono valse 7 titoli.
Charles e Lewis lasciano Baku con sogni infranti, schiene rotte e solo una settimana per ricostruirli.