Romain Grosjean, Marcus Ericsson, Callum Ilott, Christian Lundgaard, Marcus Armstrong, Juri Vips, Jamie Chadwick, Matteo Nannini. Questi alcuni dei nomi legati al mondo della Formula 1 già presenti o oggetto di rumor per un possibile futuro in America tra IndyCar Series ed INDY NXT, la serie di livello paragonabile alla F2 nella scala americana. Fatta eccezione per Grosjean ed Ericsson – arrivate in America dopo la fine della carriera in Formula 1 – sono tutti giovani piloti in cerca di uno sbocco di carriera, che non hanno trovato in Europa. Ma perché la IndyCar Series attira così tanto l’attenzione?
Differenze tra IndyCar e Formula 1
Calendario e portata
Partiamo dall’analisi delle due serie con un occhio critico, ed il primo elemento a cui si pensa è la portata della serie. Mentre la Formula 1 è prettamente internazionale, con gare su cinque dei sette continenti, la IndyCar Series è una competizione prettamente americana, con un calendario più compatto – diciassette gare per il 2023 – e solo una al di fuori dei confini statunitensi, ovvero il Gran Premio di Toronto, in Canada.
Parlando del calendario, si trova una differenza già nel numero di gare, con la Formula 1 che raggiunge 23 appuntamenti (per via della cancellazione del Gran Premio di Cina) , mentre la serie americana si ferma – per modo di dire – a 17 round. L’IndyCar, inoltre, contiene cinque gare che si disputano su circuiti ovali, cosa che la Formula 1 non ha al suo interno. L’intera serie IndyCar è incentrata su quello che è il gioiello, ovvero la 500 miglia di Indianapolis, disputata sempre nel mese di maggio (tranne nel 2020 a causa della pandemia) e che vale il doppio dei punti rispetto alle altre gare.
Squadre e piloti
La Formula 1 è uno sport d’élite, nel quale entrare risulta essere molto difficile. Basti pensare alla squadra di Michael Andretti, figlio del campione del mondo 1978 Mario: la sua squadra ha già un accordo di principio con Renault per la fornitura dei motori, ma devono attendere autorizzazione dalla FIA per poter partecipare, cosa non scontata vista l’opposizione di quasi tutte le squadre – fatta eccezione per McLaren.
In IndyCar, invece, non esiste un limite massimo fissato dal regolamento, ma ci si basa solo sul numero di auto che ogni pista può supportare – come, per esempio, il limite di 33 vetture alla 500 miglia di Indianapolis. Ogni squadra può anche portare più vetture, ed in passato ci sono stati casi in cui Andretti Autosport si è presentata in pista con ben sei vetture sulle 33 disponibili. In America ciò che decide i sedili è generalmente il budget, con piloti che spesso devono trovare soldi per poter correre – basti pensare a Romain Grosjean, finito il primo anno in IndyCar con una squadra di mezza classifica grazie alle sponsorizzazioni.
Auto e motori: molta Italia e nomi noti
In Formula 1, ogni costruttore costruisce le proprie automobili e le progetta di anno in anno, con varie modifiche legate ai cambiamenti regolamentari. Inoltre, almeno per la stagione 2023, ci sono quattro motoristi tra cui scegliere in base ai contratti ed agli accordi.
In IndyCar, invece, le squadre acquistano le proprie vetture – tutte uguali, dato che è una serie spec – da un unico fornitore, in questo caso Dallara. La stessa azienda che costruisce i telai della Haas in Formula 1 è sotto contratto con la serie americana per la fornitura a tutte le auto dal 2012. La prima vettura, nota come DW12 – in onore di Dan Wheldon, pilota e tester Dallara deceduto nella gara di Las Vegas del 2011 – fece il suo debutto proprio nel 2012, rimanendo in uso fino al 2023 con tre aggiornamenti importanti alla vettura. Dal 2024 o 2025 era prevista l’introduzione di un nuovo chassis, ma il tutto è stato ritardato a causa della pandemia. Per quanto concerne i motori, esistono solo due motoristi: Honda e Chevrolet. In passato era presente anche un kit aerodinamico legato al motorista, ma dal 2018 le auto sono tutte uguali.
Riassumendo, quindi… perché l’IndyCar?
La domanda non è di semplice risposta, ma le differenze sono chiare: la Formula 1 rimane un elemento elitario nel panorama mondiale dei motori, mentre l’IndyCar è di più semplice accesso – se si ha a disposizione un buon budget per iniziare. Generalmente, se un pilota ha talento, tale risultato viene fuori man mano, e con il passaggio a squadre di più grande importanza si iniziano a vedere anche degli introiti netti. Un esempio è sempre Grosjean, che è passato da una squadra di metà classifica ad una delle tre più importanti. Callum Ilott, rookie nel 2022, rimane anche per il 2023 con una squadra (Juncos Hollinger Racing) che è in ricostruzione, ma che già l’anno scorso ha dimostrato di avere del buon potenziale con due top 10 nella stagione ed un’ottima qualifica che lo ha visto partire dalla prima fila, salvo poi essere costretto al ritiro per problemi al motore.
Una serie spec ha il vantaggio di mostrare il vero talento dei piloti, ed ecco perché l’IndyCar sta diventando l’alternativa alla Formula 1. Dal 2023 sarà inoltre introdotta una parte ibrida nei motori, ed anche la serie americana si avvia verso l’uso di un carburante 100% biosostenibile. Insomma, l’IndyCar si sta affermando sempre di più come piattaforma alternativa per il successo, da cui aspirare anche alla Formula 1 (come per esempio Alex Palou o Pato O’Ward, che hanno debuttato nelle FP1 in Formula 1 con McLaren e sono piloti che corrono stabilmente in IndyCar), e la popolarità sembra essere sempre più in aumento.